Occhi puntati sull’ Information Ratio

L’obiettivo di un investitore razionale dovrebbe essere certamente la massimizzazione del rendimento ma, come è noto, anche e contemporaneamente il contenimento del rischio. Sebbene in uno scenario teorico, di fronte a due portafogli che offrono pari rendimento e differente rischiosità, la scelta sia immediata, nella realtà diversi portafogli hanno diversi rendimenti e diverse volatilità rendendo più complesso il processo di valutazione. In questi casi sono particolarmente utili gli indicatori che tengono conto di entrambi gli aspetti, le cosiddette misure RAPM (Risk Adjusted Performance Measures). Le più note sono l’indice di Sharpe, l’indice di Sortino, l’indice di Modigliani, l’indice di Treynor e, appunto, l’Information Ratio.

Le misure di rischio e rendimento possono essere assolute, quando non vi sono parametri cui essere confrontate oppure relative, quando i rendimenti sono confrontati ad un indice di riferimento, il benchmark. L’Information Ratio (IR) è una delle misure RAPM relative maggiormente diffuse tra gli operatori del risparmio gestito; in questo ambito è frequente che all’interno di politiche di gestione basate su un’asset allocation di riferimento, le scelte attive abbiano l’obiettivo di accrescerne le performance alterandone il meno possibile le caratteristiche di esposizione ai mercati.

Tecnicamente l’IR è il rapporto fra l’extrarendimento del portafoglio rispetto al benchmark (tracking error) e la volatilità di tale differenza (tracking error volatility). Esprime il differenziale di rendimento ottenuto dal portafoglio attraverso la politica attiva di gestione rapportato alla sua variabilità. Livelli elevati di questo indicatore indicano pertanto la capacità di battere il benchmark in maniera costante.

Se un IR positivo è sinonimo di gestione attiva e efficiente, mentre un valore prossimo allo zero suggerisce una gestione passiva, sotto lo zero l’indicatore non ha alcun significato. Un esempio ne chiarisce il motivo: un portafoglio A con extrarendimento -5% e TEV del 10% risulterebbe avere un IR migliore, pari a -0,5, rispetto ad un portafoglio B con extrarendimento -3% e TEV del 5%, entrambi migliori del precedente, il cui IR sarebbe pari a -0,6.

L’attenzione va quindi spostata dalla performance assoluta a quella relativa, la quale penalizza le politiche eccessivamente aggressive che, pur potenzialmente efficaci nel breve termine, difficilmente lo sono nel lungo.

Alessandro Naretto

Centro Studi FIDA